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LICENZIAMENTO PER FURTO: QUANDO È POSSIBILE INSTALLARE UNA TELECAMERA DI NASCOSTO?
La sentenza della Corte di Cassazione n. 3255 del 27.01.2021 chiarisce un dettaglio importante in tema di licenziamento per furto.
Quando il titolare di un’azienda subisce un furto senza un adeguato controllo a distanza (videosorveglianza) risulta difficile se non impossibile risalire all’autore o procurarsi prove sull’identità del ladro. Può, al massimo, sospettare ma non avere la certezza di chi abbia compiuto il furto. Potrebbe essere un dipendente? Sì, ma per provarlo bisognerebbe spiare i suoi movimenti.
Il punto è che, secondo l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, è vietato utilizzare la videosorveglianza a meno che non risulti necessario utilizzare impianti audiovisivi di controllo a distanza per tutelare il patrimonio, per la sicurezza del lavoro o per esigenze organizzative/produttive. In questi casi, il datore di lavoro può installare telecamere dopo l’accordo con i sindacati o l’autorizzazione dell‘Ispettorato del lavoro.
Queste autorizzazioni servono ad impedire che il titolare dell’azienda disponga di telecamere soltanto per controllare i lavoratori violando la privacy, invadendo indebitamente le loro libertà personali. Dopo aver ottenuto l’autorizzazione, deve oltretutto affiggere un cartello di avviso per informare i dipendenti della presenza di telecamere. Tutto questo limita la possibilità di scoprire furti in azienda. I cartelli di avviso possono spingere il dipendente infedele a rubare quando non ha la sensazione o la certezza di essere spiato.
E’ possibile installare una telecamera nascosta nei luoghi di lavoro? Se sì, in quali casi?
Risponde a questa domanda proprio la recente sentenza n. 3255/2021 della Cassazione.
Indice
LICENZIAMENTO PER FURTO: L’INNOVATIVA SENTENZA N. 3255/2021 DELLA CASSAZIONE
Per raccogliere prove, è necessario agire in anticipo sperando che il dipendente intenzionato a rubare in azienda cada nella trappola.
Non sempre la videosorveglianza richiede il preventivo accordo con i sindacati.
L’innovativa sentenza 3255/2021 della Corte di Cassazione, sez. III Penale, dà suggerimenti chiarendo il confine sottile che passa tra il controllo non autorizzato dei dipendenti e la tutela del patrimonio aziendale.
La Cassazione stabilisce che i controlli a tutela del patrimonio aziendale per scoprire eventuali furti possono essere effettuati dal datore di lavoro in autonomia, senza dover attenersi alle regole previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Il titolare di un’azienda che ha forti e fondati sospetti che un dipendente sia l’autore di furti all’interno della struttura è legittimato ad installare una telecamera nascosta senza chiedere l’accordo con i sindacati o l’autorizzazione all’Ispettorato del lavoro e senza dover affiggere il cartello di avviso.
Quando è possibile installare telecamere segrete?
Il datore di lavoro può installarle soltanto se ha già un principio di prova che non sia una semplice ipotesi. Il sospetto deve essere concreto e fondato riguardo all’attività criminosa di uno o più dipendenti dediti a rubare in azienda di nascosto. Non bastano neanche le finalità preventive. In più, la Cassazione stabilisce che l’uso delle telecamere non deve comportare un controllo significativo sul normale svolgimento del lavoro dei dipendenti.
CONTROLLO OCCASIONALE E TEMPESTIVITÀ
Con queste premesse, il datore di lavoro può installare autonomamente una telecamera di nascosto senza dover chiedere il permesso a nessuno. Per essere legittimato a scoprire furti in azienda (procedendo, in seguito, al licenziamento del dipendente sospettato), può posizionare le telecamere rivolte verso la cassa o gli scaffali del magazzino.
Un controllo ‘occasionale’ (non pervasivo e prolungato) del dipendente infedele non rende obbligatorie le richieste di autorizzazioni o le formalità preventive previste dalla disciplina di cui alla Legge n.300 del 20 maggio 1970, art. 4. Il datore di lavoro, quindi, non può essere sanzionato per non aver rispettato le regole riferite alla tutela dei diritti dei lavoratori.
Il passaggio occasionale del dipendente in un’area videosorvegliata non interferisce con i suoi diritti fondamentali. Difatti, tra gli obblighi che l’azienda deve rispettare, ritroviamo il posizionamento delle telecamere nelle aree a rischio evitando di riprendere i dipendenti in modo unidirezionale.
I controlli difensivi sui dipendenti a tutela del patrimonio aziendale sono legittimi soltanto se hanno la scopo di individuare un comportamento specifico.
Come evidenzia la sentenza n. 3255/21 della Corte di Cassazione, la telecamera deve essere strettamente ‘funzionale’ alla tutela del patrimonio aziendale come le casse o gli scaffali.
In questo modo, il datore di lavoro potrà scoprire eventuali danni e furti in azienda e, grazie alla prova schiacciante delle registrazioni, licenziare per giusta causa il dipendente autore del furto.
Il titolare dell’azienda dovrà agire tempestivamente per procedere con il licenziamento per furto. Avendo le prove, non dovrà intervenire troppo tardi rispetto alla data di accertamento. Verrebbe considerato un intervento illegittimo che il dipendente può contestare entro 60 giorni.
Ricordiamo che un altro obbligo dell’azienda, in riferimento alla videosorveglianza, è conservare le immagini per un periodo massimo di 24-48 ore.
ALTRE STRATEGIE PER DIMOSTRARE IL LICENZIAMENTO PER FURTO O TRUFFA IN AZIENDA
Un altro sistema per incastrare il dipendente infedele autore di furti in azienda è dato dalle testimonianze e denunce dei colleghi di lavoro affiancate da documenti e prove concrete. Sono assolutamente legittime, ritenute compatibili, ammesse perché, in qualità di dipendenti dell’azienda, i colleghi sono parte in causa.
Anche le prove fornite da investigatori privati sono valide ai fini del licenziamento per furto di un dipendente. Devono essere raccolte all’esterno del luogo di lavoro e non devono basarsi su un semplice resoconto bensì su foto, video, documenti concreti.
La tutela del patrimonio aziendale deve vedersela non solo con i furti ma anche con eventuali truffe ad opera dei dipendenti. Un dipendente, per infilarsi in tasca i soldi ricevuti a seguito della vendita di prodotti, potrebbe non emettere scontrini, quindi non contabilizzare la vendita stessa. In questo caso, potrebbe entrare in gioco la strategia del finto cliente, una persona che spacciandosi per cliente può scoprire furti/truffe all’interno dell’azienda. Anche questa testimonianza è legittima secondo la giurisprudenza.