VIDEOSORVEGLIANZA NEI LUOGHI DI LAVORO: IL QUADRO NORMATIVO IN ITALIA

Una recente sentenza emessa a sorpresa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) riguardo alla videosorveglianza nei luoghi di lavoro ha fatto discutere non poco.

Si riferisce, nello specifico, al fatto che abbia ritenuto eccezionalmente lecite le telecamere nascoste sul luogo di lavoro installate dal titolare di un supermercato senza prima informare i dipendenti. Lecite nel caso in cui vengano utilizzate per scoprire l’autore o gli autori di furti avvenuti in azienda.

La sentenza della Cedu ha considerato legittima la finalità investigativa (non preventiva) delle telecamere installate di nascosto sul posto di lavoro.

In Italia, bisognerebbe chiedere il permesso ai sindacati o informare il lavoratore, se lo stesso dipendente fosse fortemente sospettato di furto in azienda.

Scopri cosa è successo a Barcellona, il perché della sentenza della Corte Europea e la situazione in Italia in merito alla videosorveglianza nel quadro nazionale delle norme a tutela dei lavoratori e della loro privacy.

VIDEOSORVEGLIANZA NEI LUOGHI DI LAVORO: IL CASO A BARCELLONA

Il titolare di un supermercato a Barcellona ha installato di nascosto telecamere per riprendere lavoratori sospettati di furto. Secondo i giudici iberici e la Corte di Strasburgo, il datore di lavoro non ha violato la loro privacy.

In pochi mesi, ha perso 82mila euro a seguito di ripetuti furti in azienda.

Ha fatto installare telecamere visibili alle uscite del supermercato ed altre nascoste puntate sulle casse. In questo modo, ha scoperto gli autori dei furti (14 dipendenti) e li ha licenziati.

La videosorveglianza è durata solo 10 giorni, le telecamere erano puntate su un’area specifica nella zona aperta al pubblico, i filmati sono stati visionati da un ristretto numero di persone per un scopo preciso.

Questo caso in Spagna può rappresentare un precedente utile, in futuro, ma non potrà avere alcun rivoluzionario impatto sulle norme italiane relative alla necessità di passare da un accordo sindacale o da un’informativa.

In Italia, la materia è disciplinata dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori riformato con il Jobs Act.

Il decreto attuativo del Jobs Act (D.lgs. 14 settembre 2015 n. 151) ha inserito nell’art. 171 del D.Lgs. n. 196/2003 la tutela penale per il trattamento illecito dei dati dei lavoratori prevedendo che la violazione delle disposizioni di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori sia punita ai sensi dell’art. 38 del medesimo.

L’utilizzo di strumenti di controllo a distanza è lecito per la tutela del patrimonio aziendale ma deve, comunque, passare per un accordo sindacale e per un’informativa ai lavoratori.

Di conseguenza, il datore di lavoro italiano che abbia forti sospetti su uno o più dipendenti in merito a furti in azienda farebbe prima a fallire?

LA RISPOSTA DI ANTONELLO SORO, PRESIDENTE DEL GARANTE PER LA PRIVACY

La risposta di Antonello Soro alla sentenza emessa il 17 ottobre 2019 dalla Corte di Strasburgo è stata puntuale e secca:

La sorveglianza occulta non diventi prassi ordinaria. I controlli devono essere proporzionati e non eccedenti”.

Se è vero che la sentenza giustifica, nel caso del datore di lavoro a Barcellona, le telecamere nascoste, dall’altra conferma il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo.

La Corte ha ritenuto lecita l’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro in quanto ricorrevano certi presupposti:

  • fondati sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale;
  • l’area ripresa decisamente circoscritta;
  • videocamere in funzione per un periodo di tempo limitato;
  • immagini captate utilizzate solo come prova dei furti;
  • impossibilità di ricorrere a mezzi alternativi.

La videosorveglianza nei luoghi di lavoro occulta non può diventare una prassi ordinaria: è da utilizzarsi come extrema ratio, per gravi illeciti e per un periodo di tempo limitato in merito al controllo sul lavoratore.

VIDEOSORVEGLIANZA NEI LUOGHI DI LAVORO: IL QUADRO NORMATIVO IN ITALIA

La domanda è: il datore di lavoro può installare un sistema di videosorveglianza occulto sul posto di lavoro allo scopo di controllare dipendenti fortemente sospettati di furto in azienda?

Lo Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970) vieta categoricamente l’installazione di telecamere nascoste nei luoghi di lavoro che, oltretutto, rappresenta anche un reato di violazione della privacy (Codice in materia di protezione dei dati personali, D.Lgs n. 196/2003).

La sentenza n. 4564/18 – 31 gennaio 2018 della Corte di Cassazione ha stabilito quanto segue: il datore di lavoro che spia il dipendente nell’esercizio delle proprie mansioni occultando la videosorveglianza può essere denunciato.

L’art, 4 del nostro Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970) ammette l’installazione di telecamere di videosorveglianza sui luoghi di lavoro soltanto previo accordo con i sindacati aziendali o, in caso di mancata intesa, su autorizzazione dell’ufficio territoriale del lavoro.

Comunque sia, il datore di lavoro deve informare i dipendenti: il lavoratore non deve essere tenuto all’oscuro.

Detto questo, l’installazione è ammessa in tre particolari casi finalizzati a:

  • tutelare la sicurezza sul lavoro: ad esempio, negli sportelli delle banche o negli uffici postali per dissuadere le rapine;
  • tutelare il patrimonio aziendale: ad esempio nei reparti di un supermercato onde evitare furti di merci da parte di clienti o degli stessi dipendenti;
  • soddisfare esigenze organizzative e produttive (ad esempio, telecamere piazzate sull’uscio di un negozio per controllare l’arrivo di clienti e riceverli oppure installate vicino ad un macchinario pericoloso per controllare che funzioni correttamente.

E’ illecito l’utilizzo di telecamere al di fuori di queste tre finalità e, comunque sia, se la presenza di videosorveglianza non viene prima comunicata ai dipendenti eventualmente inquadrati.

Il datore di lavoro meno che mai può utilizzare un’apparecchiatura GPS per controllare i dipendenti a distanza né può utilizzare i dati dell’impianto GPS per provare, ad esempio, l’inadempimento contrattuale del lavoratore. L’utilizzo dell’impianto GPS è illegittimo come risulterebbe illegittimo il provvedimento disciplinare di licenziamento (sentenza n. 19922 – 5.10.2016 della Cassazione Civile Sez. Lavoro).

IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA RISPETTO DELLA PRIVACY E TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE

L’installazione di telecamere nascoste da parte del datore di lavoro nel supermercato di Barcellona risulta in contrasto con la normativa italiana ma, secondo la dichiarazione del Garante della Privacy (che abbiamo visto prima) la limitazione della riservatezza dei dipendenti può essere giustificata da una serie di elementi che rendono “speciale” il caso concreto (sospetti ben fondati, telecamere utilizzate per soli 10 giorni, filmati visionati solo da un ristretto numero di persone e per uno scopo specifico).

Secondo la Cedu, le autorità nazionali devono garantire il giusto equilibrio fra rispetto della privacy e tutela del patrimonio aziendale esercitando il proprio potere disciplinare con la possibilità di utilizzare i filmati nel processo come elemento di prova.

Le gravi perdite economiche per il datore di lavoro rappresentano “giustificazioni serie” per limitare la privacy.

Secondo quanto ha dichiarato il nostro Garante della Privacy, tutto questo che significa?

Che a pari circostanze e gravi perdite economiche, anche un datore di lavoro italiano può installare telecamere nascoste per cogliere con le mani nel sacco dipendenti che rubano in azienda?

LA RISPOSTA DI ALDO BOTTINI, PRESIDENTE DEGLI AVVOCATI GIUSLAVORISTI ITALIANI

Aldo Bottini, presidente degli Avvocati Giuslavoristi italiani, considera positiva la sentenza della Corte di Strasburgo sulla videosorveglianza occulta dei lavoratori in azienda.

Opera un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza del lavoratore e il diritto dell’azienda a proteggere il proprio patrimonio”.

Bottini dice anche che questa sentenza non avrà conseguenze sulla realtà italiana.

L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori rivisitato nel 2015 dal Jobs Act stabilisce che può essere effettuato il  controllo del lavoratore a distanza per certe finalità, tra cui la tutela del patrimonio aziendale.

Se il datore di lavoro vuole installare telecamere può farlo solo previo accordo sindacale o autorizzazione preventiva dell’Ispettorato del lavoro. Oltre a queste autorizzazioni, il lavoratore deve essere informato perché i controlli non possono violare i principi della privacy come quello di proporzionalità.

Esistono, però, altri sistemi per controllare il dipendente: ad esempio, strumenti digitali.

Nell’era digitale, ogni strumento di lavoro è tracciabile (come la mail aziendale). In tal caso, non è necessario né l’accordo sindacale né l’autorizzazione dell’ispettorato. Ciò che rimane obbligatorio è il rispetto della privacy, informare il lavoratore.

Il datore di lavoro può controllare solo dopo aver avvisato il dipendente, quindi dovrebbe dotarsi di un regolamento che descriva tutti gli strumenti di controllo a distanza adottati nella sua azienda e quali tipologie di controllo intenda effettuare. Così facendo, il datore di lavoro può raccogliere dati utilizzabili a qualsiasi fine, anche nelle cause giudiziarie.

Quando il titolare di un’azienda concede una casella di posta elettronica al dipendente deve chiarire, attraverso delle policy e specifiche istruzioni di utilizzo, che si tratta di una casella non ad uso personale ma di proprietà aziendale. Una volta che il dipendente è stato informato, lo strumento digitale potrà essere usato dall’azienda anche a scopo di controllo difensivo nei confronti del dipendente.

VIDEOSORVEGLIANZA NEI LUOGHI DI LAVORO: LA PRASSI PER INSTALLARE

Il modulo di richiesta per l’installazione di telecamere di videosorveglianza nei luoghi di lavoro all’ispettorato del lavoro deve essere corredato di documentazione come la planimetria dei locali (incluse informazioni sul posizionamento dell’impianto e le postazioni di lavoro) ed una relazione tecnico-descrittiva riguardo alla gestione e all’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza firmata dal rappresentante legale contenente informazioni dettagliate (numero e tipologia del dispositivo, posizionamento, fascia oraria di attivazione, ecc.). Documenti che rispettino le norme di tutela della privacy e dello Statuto dei Lavoratori.

La ditta installatrice deve necessariamente essere abilitata, iscritta alla Camera di Commercio. Dovrà rilasciare certificazione sulla conformità in merito alle norme tecniche vigenti.

Quali sono tutti gli obblighi che l’azienda deve rispettare?

Un’azienda che intende installare un impianto di videosorveglianza nel posto di lavoro deve:

  • Informare i lavoratori fornendo un’informativa privacy;
  • Nominare un responsabile alla gestione dei dati registrati;
  • Piazzare le telecamere nelle aree a rischio evitando accuratamente di riprendere in modo unidirezionale i dipendenti;
  • Provvedere all’affissione di cartelli visibili che segnalano la presenza dell’impianto di videosorveglianza;
  • Conservare le immagini per un periodo massimo di 24-48 ore;
  • Provvedere alla formazione del personale addetto alla videosorveglianza;
  • Predisporre misure minime di sicurezza, atte a garantire l’accesso alle immagini solo a personale autorizzato;
  • Se le telecamere riprendono uno o più dipendenti mentre lavorano, è necessario raggiungere un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in alternativa, con la Direzione Provinciale del Lavoro per ottenere l’autorizzazione ad installare dispositivi elettronici di controllo a distanza.

VIDEOSORVEGLIANZA NEI LUOGHI DI LAVORO: CI PIACE LA PAROLA ‘TUTELA’

Ci piace particolarmente il termine ‘tutela’.

E’ giusto tutelare la privacy al pari del patrimonio aziendale e della sicurezza dei più deboli. Fasce deboli della popolazione come bambini e anziani. Bambini e anziani da proteggere in particolari luoghi di lavoro: asili nido e strutture assistenziali.

Il testo della legge 14 giugno 2019 n. 55 (di conversione del Decreto legge 18 aprile 2019 n. 32) consente di installare (previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale) videocamere a circuito chiuso (visibili solo alla Polizia) in asili nido, scuole dell’infanzia, strutture per anziani e persone con disabilità. E’ stato approvato a Montecitorio un anno fa.

In Commissione Affari Costituzionali (al Senato) è stata respinta dalla maggioranza (M5S, Pd, Leu, Iv) la richiesta di analizzare ed avviare subito il dibattito sul testo. La legge potrebbe essere esaminata dalla Commissione nel 2020, non prima.

Di fatto, la maggioranza ha deciso di affossare la calendarizzazione della proposta della Lega sulla videosorveglianza in asili, case di riposo e comunità per disabili.

Lo Sblocca Cantieri, di fatto, è bloccato.

Probabilmente, per l’attuale governo non vale la pena prevedere spese per la tutela di bambini e di anziani (considerando tutti gli orrori che si sono verificati in molte strutture) nonostante l’istituzione di due fondi (uno presso il Ministero dell’Interno, l’altro presso il Ministero della Salute) ciascuno con una dotazione di 5 milioni di euro per il 2019 e di 15 milioni di euro per gli anni dal 2020 al 2024.

Peccato.

In questo modo, non si tutelano neanche i lavoratori (quelli onesti) e si rischia di dover leggere notizie su altri terribili fatti di cronaca, maltrattamenti e abusi su bambini piccoli e anziani da parte di lavoratori ‘sbagliati’ che, per loro natura, non avrebbero diritto neanche ad una privacy.

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