CINA, IL PROGETTO INTERNET SOVRANISTA: LE MINACCE DIGITAL SILK ROAD E HUAWEI NEW IP

Da anni la Cina è impegnata a pianificare il grande salto tecnologico attraverso una rete digitale reinventata. Non si tratta di un sorpasso ma di una tecnologia indipendente, creata su misura per gli obiettivi del Paese. In questo focus affrontiamo un tema delicato, che nessuno può più ignorare: la Cina, il progetto Internet sovranista del governo cinese.

Il 14° Piano quinquennale per lo sviluppo economico (2021-2025) comprende la cosiddetta  Digital Silk Road (la via della seta digitale) che, se da una parte, è finalizzata a potenziare la connettività digitale del Paese con il resto del mondo, dall’altra non prevede affatto un’apertura alle reti internazionali. 

Il campione nazionale complice del governo cinese è Huawei. Questo gigante tech non si limita a gestire le reti digitali. Ha annunciato il nuovo sistema operativo HarmonyOS ma, soprattutto, ha ripensato le fondamenta di Internet con New IP, uno strumento inquietante nell’ambito del progetto Internet sovranista della Cina.

Oggi, la concorrenza globale economica e politica passa per le reti digitali, lo sappiamo tutti. Reinventare Internet, soprattutto se a farlo è la Cina, non è una buona notizia. Le mire cinesi possono rappresentare una minaccia per la sicurezza e la stabilità a livello globale.

Le democrazie riusciranno ad evitare la creazione di un sistema di reti meno sicure, meno stabili e interoperabili?

E’ la domanda del secolo. Ecco il punto di vista dell’analista di Alessia Amighini.

CINA, IL PROGETTO INTERNET SOVRANISTA: DIGITAL SILK ROAD, COS’È

Prima di ragionare sulle mire del governo cinese impegnato nel suo progetto Internet sovranista, spieghiamo meglio in cosa consiste la Digital Silk Road e New IP di Huawei.

Partiamo dalla prima, la ‘via della seta digitale’ (DSR, Digital Silk Road).

La DSR ha come fine aumentare la connettività digitale della Cina con il resto del globo senza alcuna intenzione di aprirsi alle reti internazionali. Piuttosto, mira a sviluppare una propria infrastruttura Internet per diffonderla il più possibile.

Parallelamente, è forte la presenza di piattaforme eCommerce cinesi e il governo cinese ha lanciato la nuova valuta sovrana digitale, la eCNY e sta implementando una serie di infrastrutture digitali attraverso cui controllare e far transitare denaro e dati.

La pandemia globale ha giocato a favore della Cina, in termini di accelerazione del processo di digitalizzazione, tanto che ha acquisito una posizione sempre più di rilievo nel mondo.

L’indice DESI 2021 conferma la situazione italiana in tema di digitalizzazione. Nel nostro Paese, sono tanti i buchi da colmare riguardo alla trasformazione digitale. Per questo motivo, il partenariato scientifico-tecnologico con la Cina resta importante, necessario per l’Italia soprattutto nella fase di post-pandemia. I 47 miliardi di fondi europei previsti per la digitalizzazione in Italia fanno gola alle aziende cinesi, soprattutto a Huawei.

L’influenza cinese in ambito tech (5G, ICT, sorveglianza, Intelligenza Artificiale) si espande nell’area mediorientale e in Paesi in via di sviluppo dell’Asia Centrale e dell’Africa e, probabilmente, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda.

La corsa alla digitalizzazione rappresenta il motivo di nuovi squilibri mondiali e la supremazia tecnologica cinese non tranquillizza nessuno (neanche i cittadini cinesi super controllati).

La Digital Silk Road è il nuovo ‘satellite artificiale’ dei nostri tempi, lo strumento che spingerà verso una profonda rivoluzione tecnologica e sociale. La competizione geopolitica delle superpotenze è una guerra a colpi di tecnologia, reti digitali e Internet.

NEW IP DI HUAWEI: REINVENTARE INTERNET PER IL PROGETTO SOVRANISTA DELLA CINA

Huawei reinventa le fondamenta di Internet con “New IP”, il progetto finalizzato a costruire la ‘sicurezza intrinseca’ nel Web. Che significa sicurezza intrinseca? Niente di particolarmente entusiasmante. In pratica, le persone devono registrarsi per utilizzare il web. Le autorità hanno il potere di chiudere l’accesso dei singoli utenti come e quando vogliono, in qualsiasi momento. New IP di Huawei riunisce in un’unica architettura Internet i tre punti chiave del progetto sovranista cinese: sorveglianza, ‘credito sociale’ e censura.

Il progetto New IP rischia seriamente di minacciare l’integrità del web come lo conosciamo oggi. Minaccia di frammentare Internet in un caos di reti meno sicure, meno stabili e meno interoperabili. Il salto tecnologico della Cina è un salto nel vuoto. Insieme ad altri ambiti del digitale come il Fintech e l’eCommerce, il piano cinese inquieta le democrazie globali.

Gli esperti degli organismi internazionali di standardizzazione (come IEFT, Internet Engineering Task Force, o ICANN, International Corporation for Assigned Names and Numbers) possono contestare la proposta New IP di Huawei e questo il governo cinese lo sa. Ecco perché ha aggirato l’ostacolo lavorando attraverso l’ITU (l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni delle Nazioni Unite). 

L’INFLUENZA DELLA CINA NELL’ITU

Negli ultimi 7 anni, la Cina ha avuto la presidenza dell’ITU. In particolare, Houlin Zhao (l’allora segretario generale dell’ITU) durante il suo mandato ha sollecitato l’estensione dell’Unione Internazionale da semplice agenzia di telecomunicazioni ad “agenzia tecnologica” (che include architettura Internet, IoT, Intelligenza Artificiale).

Pechino ha più influenza politica nell’ITU, perciò ha preferito l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni delle Nazioni Unite alle istituzioni internazionali multilaterali governate da rappresentanti dell’industria, società civile e governi nazionali che concedono il potere di voto soltanto ai governi e che favoriscono un Internet aperto e libero. L’ONU e l’ITU possono, invece, essere più ricettivi a progetti come New IP che propongono un maggior controllo sul web da parte dei governi nazionali. L’ITU dà un vantaggio commerciale alle aziende che costruiscono la tecnologia su cui si basano.

E’ triste ma è così e lo dimostra, ad esempio, l’iniziativa nel 2019 di Cina e Russia che hanno spinto all’interno dell’ONU per far passare una risoluzione (vantaggiosa per loro) sui crimini informatici. Esiste una cooperazione russo-cinese anche oggi, in ambito tecnologico: il punto in comune è l’uso autoritario di Internet. In passato, Arabia Saudita, Iran e Russia hanno sostenuto le proposte cinesi per tecnologie di rete alternative.

L’ITU, se ci fosse una coalizione di Paesi concordi su un determinato piano, potrebbe consentire alla Cina di far passare il progetto New IP di Huawei. Nonostante tutto.

HUAWEI PRESENTA NEW IP ALL’ITU COL PRETESTO DELL’INNOVAZIONE

L’International Telecommunications Union è un’agenzia dell’ONU che stabilisce standard globali comuni per le tecnologie. La Cina ha illustrato all’ITU il New IP di Huawei senza fornire troppi dettagli, concentrando l’interesse della nuova rete su immagini tech futuristiche, ologrammi, auto a guida autonoma. Tutto questo per deviare dal problema di un Internet sovranista cinese: ha voluto mostrare che l’attuale Internet è ormai una reliquia che ha raggiunto i suoi limiti tecnici. Huawei ha proposto una nuova rete globale (necessaria entro il 2030) con un design innovativo, efficiente, da esportare ovunque e che i cinesi dovrebbero creare superando il modello odierno di governance che è per lo più americano.

Più chiaro di così: la Cina vuole il potere ed il controllo assoluto delle reti digitali.

La proposta di Huawei è stata fatta all’ITU a porte chiuse tramite 2 documenti, uno presentato a settembre 2019 con standard tecnici, l’altro a febbraio 2020 con un PowerPoint.

Con la presentazione di New IP, la Cina ha mostrato un mondo digitale nel 2030 che l’attuale protocollo IP non può supportare e che, secondo il governo cinese, è insufficiente, instabile, con problemi di configurazione, affidabilità e sicurezza.

Secondo i documenti di Huawei la rete del futuro deve avere un design dall’alto verso il basso e favorire schemi di condivisione dei dati tra i governi supportando Intelligenza Artificiale, Big Data ed altre applicazioni avanzate. Gli esperti temono che, con questo nuovo IP, chi fornisce servizi web (in genere, fornitori di proprietà statale) avrebbe il totale controllo e supervisione di ogni dispositivo collegato alla rete: potrebbe monitorare e bloccare a piacimento l’accesso di ogni singolo utente.

Con il sistema cinese i Paesi che lo scelgono dovrebbero chiedere l’autorizzazione del proprio provider Internet per effettuare qualsiasi operazione online e gli amministratori avrebbero il potere di negare l’accesso anche solo per capriccio.

Due esempi provengono dai governi dell’Arabia Saudita e dell‘Iran che hanno oscurato Internet per lunghi periodi durante i disordini civili permettendo l’accesso solo a servizi come assistenza sanitaria e banche. La Russia, con una nuova legge sovrana, ha dimostrato di potersi sganciare dal web globale ed è stata aiutata in questo proprio da aziende cinesi come Huawei.

IL DOMINIO DELLA CINA SU TUTTE LE FONTI D’INFORMAZIONE

La Cina punta alla sovranità informatica, ad estendere la propria impronta digitale a livello globale. Non è un mistero per nessuno, ormai.

Già dagli anni ’90 ha iniziato a sviluppare l’attuale Great Firewall, un sistema di controllo che impedisce ai cittadini di collegarsi a siti web stranieri vietati (come The New York Times e Google) e che è in grado di bloccare i contenuti nazionali sensibili a livello politico. In Cina, i fornitori di telecomunicazioni e le piattaforme Internet sono obbligati a supportare la Polizia nella sorveglianza di ‘crimini’ come offendere Xi Jinping chiamandolo ‘panino al vapore’ in gruppi di chat privati. Un ‘crimine’ del genere viene punito con 2 anni di carcere.

Ad oggi, il sistema di sorveglianza e censura del governo cinese non è efficace al 100%: con New IP di Huawei (completamente automatizzato) sarebbe possibile perfezionarlo.

Pechino ha firmato un memorandum d’intesa per la creazione di una ‘via della seta digitale‘ con 16 Paesi. Huawei ha confermato di essere in possesso di 91 contratti per la fornitura di apparecchiature wireless 5G in tutto il mondo (di cui 47 in Europa). Gli USA avevano avvertito quei Paesi che il coinvolgimento di Huawei avrebbe significato consentire l’accesso cinese ai segreti di sicurezza nazionale ma quei Paesi hanno respinto l’accusa statunitense. L’idea della sorveglianza e del controllo addirittura in tempo reale su Internet ha attirato molti Paesi nel mondo.

I governi europei e statunitensi oggi temono che la tecnologia cinese venga sviluppata per lo spionaggio di Stato, soprattutto grazie al 5G. Non a caso, nel 2019, gli Stati Uniti hanno inserito Huawei nella lista nera delle vendite nel loro mercato.

IL FUTURO DELLA FINANZA CORRE SULLE RETI DIGITALI

Il futuro della finanza passerà sulle reti digitali. Sta già succedendo.

Sulla base di un Report pubblicato da KPMG e H2 Ventures, tra le prime 10 aziende Fintech nella classifica mondiale 5 sono cinesi. Tra i giganti dell’industria Fintech troviamo: Alibaba, Baidu, Tencent, Union Pay, Alipay e WeChat Pay. Pagamenti via POS e online fanno parte della quotidianità dei cittadini cinesi: in Cina stanno sparendo i contanti come pure i conti correnti o le carte di credito. Tutto passa per lo smartphone. La Cina è in testa alla classifica anche per numero di utenti e dimensioni di mercato.

Per legge, in Cina gli utenti devono registrarsi presso gli operatori di telecomunicazioni tramite numero di telefono o connessione Internet usando il proprio nome reale e identificazione resi accessibili alle banche ed altre società. Tutti gli operatori di rete cinesi devono conservare registri di Internet, non è chiaro perché.

E’ noto il sistema di valutazione del credito della popolazione che la Cina sta creando. Si basa sul comportamento online e offline e sui reati minori compiuti in passato. Se il cosiddetto punteggio di credito sociale di un individuo scende al di sotto di un certo importo (magari perché pubblica troppo sui social network), il sistema può impedire al suo telefono di connettersi a Internet.

SERVE UN TERZO MODELLO INTERNET OCCIDENTALE E DEMOCRATICO

Per contrastare il progetto Internet sovranista della Cina, si sta pensando ad una coalizione tra Paesi democratici per ‘vincere la sfida dell’innovazione digitale’. Bisognerà proporre alternative convenienti in termini geopolitici ed economici.

Il ban commerciale messo in atto dagli USA (che conta oggi 77 aziende) è la dimostrazione chiara di voler rallentare lo sviluppo tecnologico cinese. Insieme agli USA anche l’Italia è sempre più cosciente del ruolo cinese nella propria economia.

Attraverso il framework strategico Global Digital Cooperation Strategy, L’UE ha in previsione di conferire un ruolo principale ad un Paese alleato come il Giappone per lo sviluppo tecnologico.

Sorveglianza, controllo, supremazia informativa, dominio su tutte le fonti di informazione: l’obiettivo della Cina è digitalizzare realizzando piani autoritari con controllo in tempo reale di tutti i movimenti e le transazioni dei cittadini tramite dispositivi mobile, la rete, le applicazioni Internet.

L’obiettivo dei Paesi democratici tra cui gli Stati Uniti è ben diverso, assolutamente non in linea con quello cinese: un Internet libero e aperto.

Internet è nato per essere un’infrastruttura neutrale (“Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio“, 1996) ma è diventato un braccio di controllo politicizzato che ha lo scopo di reprimere le persone fisicamente ed economicamente.

L’opinione generale è che l’attuale modello di Internet sia giunto alla fine, imperfetto, inefficiente, obsoleto per le nuove tecnologie.

L’alternativa, tecnicamente parlando, è il modello cinese.

Se non si riuscirà a trovare un terzo modello (democratico), c’è il rischio che molti Paesi si orienteranno verso il sistema cinese. Nel prossimo decennio, l’obiettivo principale su cui bisognerà lavorare è un web occidentale in grado di fornire una visione di futuro digitale compatibile con la democrazia.

L’Europa e il Nord America uniranno le loro forze per costruire le strutture tecnologiche e legali allo scopo di realizzare l’alternativa Internet democratica?

Fonte.

Francesco Ciano

Francesco Ciano